Ricercatore: Dr. Umberto Capitanio
Il carcinoma a cellule renali (RCC) è la forma più diffusa di neoplasia maligna che origina dal rene (85%) e, in assoluto, rappresenta il 3% di tutti i tumori maligni. Nel 2012 sono stati registrati circa 84,400 nuovi casi nell’Unione Europea, e la sua incidenza è in costante aumento.
Sono presenti diversi sottotipi di RCC con specifiche caratteristiche istopatologiche e genetiche. Sono divisi in: cellule chiare (ccRCC), papillare (pRCC) e cromofobo (chRCC). I ccRCC costituiscono il 70% di questi tumori. Questi sono neoplasie aggressive con sopravvivenza a 5 anni del 50% circa. La mortalità però dipende dallo stadio clinico: solo il 10% dei pazienti con una metastasi sopravvive a 5 anni, anche se hanno una massa renale tra le più piccole. D’altra parte la prognosi di un tumore delle stesse dimensioni, ma senza disseminazione a distanza, è decisamente migliore: circa il 95% dei pazienti è vivo dopo 5 anni.
Un lento sviluppo del tumore è stato osservato nei pazienti con forme ereditarie predisponenti a RCC, e si ipotizza che ciò avvenga anche nei casi sporadici. Questa condizione darebbe tempo sufficiente sia alle cellule tumorali circolanti per fondare siti metastatici, che al loro svilupparsi in contemporanea alla massa primaria. Questo renderebbe conto dei pazienti con malattia dimensionalmente limitata ma già metastatica, cioè il 10% circa di tutti i pazienti con una massa di basso volume.
Arrivare alla diagnosi di questo tumore è ancora oggi particolarmente complesso: esso si può presentare con un aspetto polimorfo che può sviare la diagnosi, oppure rimanere silente sufficientemente a lungo da fare arrivare i pazienti all’attenzione dello specialista a malattia con una massa di notevoli dimensioni o metastatica (circa il 20% dei casi), complicandone quindi la gestione e diminuendo l’aspettativa di vita per i pazienti.
I fattori che creano questa particolare condizione sono diversi: l’esame obiettivo ha un ruolo limitato nel percorso diagnostico, solo il 20% circa dei pazienti presenta almeno un sintomo, e in meno del 5% circa dei pazienti sono presenti contemporaneamente i tre sintomi caratteristici: dolore al fianco, ematuria visibile e la presenza di una massa addominale palpabile. La presenza di questa triade è indicativa di una malattia più avanzata e aggressiva. Inoltre alcuni sintomi che possono portare alla diagnosi di RCC, come dolore osseo o tosse persistente, sono essi stessi causati da metastasi o fenomeni che le accompagnano. Questo fa sì che più della metà dei RCC siano diagnosticati incidentalmente con esami di imaging eseguiti per qualche altra patologia addominale o per indagare sintomi non specifici di questa malattia.
Mancando attualmente biomarcatori a stratificare la popolazione per stimare la prognosi, si deve fare affidamento in gran parte a sistemi di classificazione come TNM, Fuhrman nuclear grade e sottotipo istologico. Tutte queste caratteristiche rendono impossibile al giorno d’oggi effettuare campagne di screening.
Una nuova strada che si potrebbe ritenere percorribile per caratterizzare il RCC è quella della radiomica: questa consiste nella analisi automatizzata di grandi quantità di immagini diagnostiche per fare decisioni quantitative al fine di caratterizzare diverse regioni tumorali. Sfortunatamente nel RCC l’esperienza di questa metodica è particolarmente limitata e la sua applicabilità tutt’altro che confermata.
I pazienti con RCC di piccole dimensione vanno incontro a un percorso terapeutico caratterizzato dal trattamento chirurgico conservativo (nephron sparing surgery, NSS) con una curva di sopravvivenza cancro-specifica di circa 90% a 5 anni. Nonostante questo non si è in grado ancora di capire perché rimanga una percentuale minore di pazienti che dopo l’intervento progredisca e vada incontro a un evento avverso. Inoltre a una parte di questi pazienti viene rimossa una massa che solo dopo l’esame istologico definitivo risulta benigna.
Eseguire una biopsia preoperatoria non è attualmente un approccio praticabile nei pazienti affetti da questa malattia: questo perché non riesce a rivelare accuratamente la natura del tumore. Molti ccRCC infatti possono presentare una elevata eterogeneità intratumorale, con regioni della stessa massa che presentano profili di espressione genica differenti. Le differenti zone, nonostante originino da delle cellule neoplastiche progenitrici comuni, nell’arco del tempo vanno incontro ad evoluzioni diverse. Questo rende necessario, per svolgere in modo accurato un’analisi del corredo genetico di questa malattia, un campionamento multiplo in regioni differenti della stessa massa, fino ad adesso mai utilizzato in ambito clinico.
Pazienti con malattia indolente, o addirittura benigna, vengono quindi esposti all’intrinseco rischio chirurgico e le possibili complicanze associate. Tra queste se ne annoverano alcune di origine cardiovascolare (trombosi venosa profonda, insufficienza cardiaca e fibrillazione atriale), altre polmonari (versamento pleurico, atelettasia/polmonite, tromboembolismo) e altre ancora gastrointestinali (ischemia segmentale dell’ileo o colon, lesione intestinale, emorragia splenica). Inoltre i pazienti possono essere affetti sia da complicanze comuni alla maggior parte degli interventi chirurgici (sepsi, infezioni di ferita, ernie incisionali e reintervento per complicanze) che da quelle urologiche (ematuria persistente, fistole urinarie, lesioni vascolari del rene, infezione renali e ascessi peri-renali).
In aggiunta si deve considerare anche che non in tutti i centri viene effettuata una NSS, che può richiedere soprattutto nei casi tecnicamente complessi una expertise specifica, optando piuttosto per un approccio chirurgico radicale (radical nephrectomy, RN). Questa decisione lascia scoperti molti pazienti all’insorgere di insufficienza renale cronica (IRC) a 1-2 anni dall’intervento chirurgico. La IRC si associa anche a problematiche cardiovascolari, come l’ipertensione arteriosa, che possano influenzare in maniera decisiva la qualità della vita.
Nonostante ciò negli ultimi anni sono comparse diverse evidenze che illustrano i diversi assetti genetici che possono caratterizzare questo tumore e influenzarne la prognosi. Nei ccRCC sono stati evidenziati tre vie biologiche che se mutate possono sostenere il processo patologico. La prima, chiamata VHL-HIF, regola la capacità di generare nuove vasi e il suo consumo di ossigeno della cellula stessa.
La seconda è costituita da una mutazione dei geni (SETD2, JARID1C E UTX) che codificano per proteine con funzione di regolazione epigenetica, cioè di regolazione dell’espressione genica stessa, o da una mutazione di geni (PBRM1) che regolano il rimodellamento della cromatina e quindi indirettamente l’espressione genica. La terza è quella di PI3K-mTOR che ha diverse funzione tra cui regolare la crescita e proliferazione cellulare. All’interno di queste vie sono stati identificati geni, BAP1 e SETD2, che se mutati sono più frequenti nei tumori ad alto grado e associati a una prognosi peggiore.
In letteratura sono stati fatti alcuni tentativi di stratificare la prognosi dei pazienti attraverso analisi dettagliate delle caratteristiche delle cellule neoplastiche. Per esempio si è riusciti a dividere con successo i pazienti con ccRCC in 3 classi prognostiche (CC-e.1, CC-e.2 e CC-e.3). Per ottenere questo risultato è stato necessario utilizzare molteplici metodiche (analisi di metilazione del DNA, DNA copy alteration, espressione di mRNA, miRNA e proteica) per poi incrociare i risultati con metodologie statistiche avanzate.
Sfortunatamente le metodiche utilizzate hanno costi elevati e se usate in combinazione diventano una spesa eccessiva per essere applicate routinariamente nella pratica clinica.
Il sequenziamento genico in diverse regioni tramite high-throughput analysis delle masse tumorali è una metodica promettente che può portare a una migliore stratificazione della prognosi nei pazienti affetti da RCC di dimensione limitata, mantenendo però costi sufficientemente contenuti da poterlo rapportare nella quotidianità ospedaliera.
Il nostro progetto vuole creare all’interno della pratica clinica ospedaliera un nuovo approccio diagnostico personalizzato per il paziente affetto da carcinoma renale; tale nuova metodica sarà basata sull’analisi genetica di prelievi bioptici provenienti da diverse regioni del tessuto neoplastico.