Ricercatore: Dr. Francesco Trevisani
Il carcinoma a cellule renali (RCC) rappresenta il 3% di tutti i tumori maligni in tutto il mondo. È la forma più diffusa di tumore renale (l’85% delle neoplasie che originano dal rene) e fra tutti i tumori urologici è attualmente quello con il tasso di mortalità più elevato (più del 40% rispetto a circa il 20% del tumore della prostata e della vescica). Il numero di nuovi casi diagnosticati annualmente è in costante aumento in Italia; ciò è dovuto, almeno in parte, all’uso sempre più diffuso di indagini strumentali non invasive, che permettono il riscontro incidentale del tumore.
RCC è più frequente negli uomini che nelle donne (con un rapporto di 3:2 fra i due sessi) e raramente si manifesta prima dei 20 anni, con un picco di incidenza massimo nel sesto decennio.
L’eziologia del tumore renale è a tutt’oggi sconosciuta, ma molti sono i fattori ambientali, occupazionali, ormonali, genetici studiati come possibili cause predisponenti all’insorgenza della neoplasia.
Il tumore renale origina dalle cellule di tubuli contorti prossimali; pertanto le sue cellule frequentemente sono caratterizzate da ampio citoplasma chiaro ricco di glicogeno e di materiale lipidico; questo conferisce al tumore il classico colorito giallastro. A livello istologico si riconoscono essenzialmente 5 varianti di carcinoma renale: a cellule chiare convenzionale (75%), a cellule cromofile o papillare (15%), a cellule cromofobe (5%), oncocitico (3%), dei dotti collettori (2%). La neoplasia insorge preferenzialmente ai poli dell’organo renale ed ha tendenza ad espandersi, sia in direzione centrifuga (deformando dapprima il profilo renale, poi superando la capsula propria e infiltrando il tessuto adiposo perirenale), sia in modo centripeto (invadendo la midollare, la pelvi e la vena renale fino alla vena cava). Le metastasi hanno come sedi più frequenti il polmone, le ossa e l’encefalo, ma non è raro riscontrare metastasi in sedi inusuali, prima della manifestazione clinica del tumore primitivo.
La difficoltà clinica maggiore nella diagnosi e terapia di RCC è dovuta alla sua aspecificità sintomatica e all’assenza di biomarcatori predittivi. Nel 40% dei casi RCC rimane clinicamente silente, infatti la contemporanea presenza di ematuria, dolore e massa palpabile al fianco, considerata la triade classica di presentazione, è in realtà molto rara (10% dei casi) e indicativa di malattia in fase avanzata.
Molto spesso la diagnosi viene fatta per comparsa di sintomi legati alla presenza di metastasi o per sintomi sistemici quali la febbre (circa il 20% dei casi), l’astenia e la perdita di peso (30%); in aggiunta, si deve sottolineare l’attuale mancanza nella pratica clinica sia di programmi di screening, sia di biomarcatori prognostici, capaci di stratificare la popolazione in base al rischio.
Tali caratteristiche conferiscono a questa neoplasia una maggiore complessità di gestione, in quanto molti pazienti giungono all’osservazione del chirurgo o dell’oncologo quando la massa tumorale risulta essere di grandi dimensioni e talvolta già in fase di metastatizzazione. In media, 5 anni dopo la diagnosi e l’intervento chirurgico, sopravvive il 30-50% dei soggetti. Nei casi già metastatici alla diagnosi la prognosi è estremamente sfavorevole, con meno del 15% dei soggetti che sopravvivono a 3 anni.
Questo quadro rende pertanto necessaria l’individuazione di nuove strategie cliniche e molecolari capaci di stratificare la popolazione in base al rischio di sviluppare RCC. Sempre più evidenze delucidano meccanismi genetici ed epigenetici coinvolti sia in processi biologici che nella genesi di numerose condizioni morbose. I microRNAs (miRs), piccole molecole (19-24 nucleotidi) endogene appartenenti alla famiglia degli small non coding RNA, sono in grado di modulare l’espressione genica (fino al 30% dell’intero genoma) agendo a livello post-trascrizionale (6). Coinvolti nell’omeostasi cellulare, i miRs sono deregolati in tutte le neoplasie solide ed ematologiche, associati ad instabilità genomica, progressione cancerosa e resistenza a farmaci.
Resistenti alla degradazione (si possono ritrovare in materiale di archivio come tessuti paraffinati o liquidi biologici congelati), i miRs si legano a proteine circolanti e sono facili da rinvenire in ogni liquido biologico, attraverso una estrazione economicamente vantaggiosa (Real-Time PCR, Digital Droplet PCR, In Situ Hybridization). Tali caratteristiche rendano pertanto i miRs promettenti biomarcatori circolanti e tissutali, capaci di correlare con l’insorgenza di una determinata patologia e, in alcuni casi, di poterla predire attraverso una modulazione transiente di espressione.
Il nostro progetto è mirato a creare all’interno della pratica clinica ospedaliera un nuovo approccio diagnostico e terapeutico basato su un profiling molecolare (espressione miRs) atto ad individuare l’insorgenza e la progressione di malattia renale oncologica nei pazienti.